«Parigi, tutt’intorno, dispiegava il suo fosco manto, immenso, azzurrastro all’orizzonte, e i suoi profondi avvallamenti, dove ondeggiava una marea di tetti; un’atmosfera d’angoscia, dense nuvole color dame adombravano tutta la Rive Droite; e dal bordo di queste nuvole, dalle loro frange d’oro, balenava un raggio di sole, che rischiarava le mille finestre della Rive Gauche in un’esplosione di scintille.»
Quando pochi giorni fa gli schermi dei nostri televisori e le prime pagine dei giornali hanno riportato le immagini della cattedrale di Notre-Dame in fiamme, siamo rimasti tutti sconvolti; il simbolo di una delle più importanti capitali europee, Parigi, divorato dal fuoco, sembra quasi voler dire che nella nostra società l’arte e la cultura non sono più considerate un bene prezioso per l’umanità.
Parigi è stata per anni, nei secoli passati, patria e rifugio di innumerevoli letterati, pittori e pensatori: lì hanno visto la luce opere straordinarie come Guernica, i romanzi di Hemingway e i versi dei poeti maledetti. Ma non è di questa Parigi che voglio parlare oggi: lontano dagli Champs élysées e dai Grands Boulevards, alla periferia nord della città, c’è un piccolo quartiere, la Goutte d’Or, che ha ispirato uno dei più bei romanzi della letteratura francese: L’assommoir, di Émile Zola. Qui, tra i marciapiedi fangosi di boulevard Poissonière e le grida delle lavandaie in boulevard de la Chapelle, vive Gervaise, una ragazza di ventidue anni appena, con già due figli da accudire e un marito fannullone. Si trova a Parigi da poco tempo ma il suo sogno di lasciarsi alle spalle la miseria della provincia si è già infranto. Ben presto il marito la abbandona per un’altra donna e lei è costretta a spaccarsi la schiena facendo la lavandaia, le mani rosse e gonfie per l’acqua gelata. Gervaise non si dà per vinta, finalmente incontra Coupeau, un uomo onesto, perbene, così diverso dal padre dei suoi figli e dagli altri uomini che vanno a bersi lo stipendio all’Assommoir, la bettola della Goutte. Dopo il matrimonio con Coupeau finalmente la vita va per il verso giusto e Gervaise corona il suo sogno: avere la sicurezza di un tetto sopra la testa e un piatto caldo che la aspetti la sera; dopo anni di stenti apre una lavanderia tutta sua, non ha più padroni e si gode la vita. Ma la vera natura dell’uomo, animale corruttibile e vizioso, fa prepotentemente capolino quando Coupeau s’infortuna e dopo aver perso il lavoro inizia a passare le giornate all’assommoir, inebetito dall’alcol.
Da qui in poi la famiglia di Gervaise scivola sempre più nel degrado e nella disperazione, nessuno viene risparmiato, neanche Nana la piccina della famiglia (protagonista di un successivo romanzo di Zola), che vediamo battere i marciapiedi e tornare a casa solo per rubare i pochi spiccioli della madre. Non c’è mai stata speranza di salvezza per questa famiglia, chi nasce nel fango, muore nel fango. Il libro è un affresco dettagliato della miseria dei sobborghi parigini della metà del 19esimo secolo, all’occhio osservatore di Zola non sfugge niente e cosi come lo vede ce lo racconta in ogni terribile dettaglio.
Comparso per la prima volta come romanzo a puntate nel 1876 , l’Assommoir viene accolto negativamente dalla critica e dal pubblico per il modo dissacrante in cui viene trattato il problema dell’alcolismo nella classe operaia francese e per l’uso dell’argot, il dialetto parigino, nei dialoghi,. La risposta di Zola alle critiche è lapidaria ed attuale «Chiudete le bettole, aprite le scuole. L’alcool divora il popolo. L’uomo che saprà eliminare la piaga dell’alcolismo, farà per la Francia più di Carlo Magno o di Napoleone.»
Un romanzo tremendamente meraviglioso che entra dritto nel cuore di chi lo legge, a mio parere è uno dei più grandi capolavori della letteratura francese.
Consigliato da Claudia – Libreria Tra Le Righe