«La signora Kampf entrò nello studio chiudendosi la porta alle spalle così bruscamente che tutte le gocce di cristallo del lampadario, mosse dalla corrente d’aria, tintinnarono d’un suono puro e leggero di sonagli.»
Già nelle prime righe è condensata tutta l’essenza di un racconto che si snoda breve nella sua perfezione, come solo la mano di una grande scrittrice è in grado di fare. C’è dunque una donna dal carattere imperioso, con un cognome duro, in una casa certamente lussuosa. E c’è, poi, una figlia adolescente, Antoinette, che viene letteralmente invasa dalla presenza ingombrante, spigolosa, incapace di amore della madre. La signora ha, con il marito, una sola esigenza impellente: entrare nel mondo dorato della Parigi bene, essere riconosciuta e farsi riconoscere. Bisogna assolutamente costruirsi un’impalcatura fatta di niente con la ricchezza arrivata grazie a un colpo di fortuna, negli scintillanti anni venti dove la musica, i balli, i ricevimenti e il benessere esternato e mostrato come merce al mercato sono il miglior biglietto da visita per il paradiso. Ma in una famiglia, al di là delle apparenze, si possono covare risentimenti, frustrazione, sentimenti di vendetta, rabbia. Bisognerà salutare le aspirazioni più rosee di scalata sociale, dire addio anche alla complicità di una coppia che si regge sul filo del denaro per vedere realizzata la soddisfazione di una ragazza esclusa, messa all’angolo, come se fosse solo parte della tappezzeria. Il prezzo da pagare è alto, però: nel disprezzare la meschinità del mondo adulto, Antoinette finisce per dover salutare l’ingenuità, i sogni di fanciulla, e cadere nel baratro insieme alla famiglia. Un addio doloroso e tanto più profondo, quello che la Némirovsky ci offre, perché condensato in pochi tratti e poche pagine, dove le scene, gli oggetti e i personaggi rimangono incisi e impressi con pennellate d’artista.