Per raccontare storie a volte, se si ha penna e stile, si può attingere alla realtà, molto più cruda di ogni possibile fantasia nera. È quello che riesce a fare James Ellroy, con due racconti agghiaccianti ed emblematici di due diversi momenti della storia americana: siamo nel 1963 quando la polizia si trova invischiata nel caso di due giovanissime donne della upper class di Manhattan brutalmente uccise in casa. Il punto di vista del poliziotto che racconta è incalzante, pieno di ritmo, il linguaggio è crudo ed efficace, degno di un’ottima sceneggiatura. E l’autore non fa sconti al pregiudizio sui neri, ai metodi brutali delle forze dell’ordine, alla violenza dell’assassino come rito quotidiano che si ripete in un contesto sociale malato, senza possibilità di riscatto. L’angoscia pervade le pagine, il pensiero va di continuo alle immagini vivide che scorrono come in un reportage, di fatti realmente accaduti. Il 1976 è l’anno del secondo assassinio: anche qui la tecnica cinematografica prevale nel racconto, e si innesta in una storia in cui la vittima è Sal Mineo, attore di secondo piano di una Hollywood degli eccessi e del proibito. Si rimane spiazzati dall’insensatezza della morte, dalla sua casualità. Si respira l’aria di un’America fatta di preconcetti, di squallore e divisione sociale, e le contraddizioni della giustizia, tra l’incubo della pena di morte e una corretta risoluzione del caso, spaventano ieri, come oggi.