È possibile diventare qualcun altro? Questo è l’interrogativo che si pone – e che ci pone – Brit Bennet nel romanzo “La metà scomparsa”.
Il libro affronta vari temi, tra i quali il principale è sicuramente il colourism, un fenomeno di discriminazione interno alla comunità afroamericana.
Desiree e Stella sono due gemelle nate e cresciute a Mallard, un piccolo paesino in Louisiana che non esiste neppure sulle mappe geografiche, popolato da neri dalla pelle chiara. Uomini e donne che «non sarebbero mai stati accettati come bianchi ma rifiutavano di farsi trattare come neri».
Le gemelle Vignes decidono di fuggire da Mallard, convinte di essere dirette verso la libertà – e in un primo momento sembrano riuscire nel loro intento. Fuggendo dall’ambiente asfittico della cittadina non riescono però a sfuggire dal loro tratto identitario: l’essere nere dalla pelle chiara.
Il tratto che le accomuna ma che, alla fine, le divide. A New Orleans, infatti, Stella abbandona la sorella e scompare per diventare bianca. Questo introduce nel romanzo la tematica del passing, ovvero la pratica per cui una persona nera dalla pelle particolarmente chiara si faceva passare per bianca, tagliando i ponti con il passato – ovviamente al prezzo di recidere per sempre un tratto distintivo della propria personalità.
Desiree, al contrario della sorella, sposa «l’uomo più nero che trova» – di fatto contraddicendo i valori con i quali è cresciuta, ovvero l’importanza della pelle chiara. La figlia June, cresciuta nera in un paese di persone dalla pelle chiara, subirà la derisione dei compagni di scuola. La stessa comunità che dovrebbe accoglierla la respinge. A Mallard la chiarezza della pelle è un tratto essenziale per il riconoscimento all’interno della collettività e avere la pelle troppo scura è una colpa da espiare. L’ideologia tossica del razzismo viene interiorizzata dalla comunità che, nonostante subisca discriminazione da parte dei “veri” bianchi, esclude a sua volta i neri con la pelle più scura.
Brit Bennet mette il lettore di fronte a un gruppo di neri che replica un meccanismo tipico del razzismo bianco. Da qui prende l’avvio la vicenda della famiglia Vignes, che parte dalla metà degli anni ‘50 per arrivare fino agli anni ’90 del secolo scorso.
L’abilità di Brit Bennet nell’intrecciare le vite dei personaggi, muovendoli lungo il tempo e nello spazio, la aiuta a portare avanti diverse narrazioni – con quattro personaggi principali – riuscendo al contempo ad approfondirle.
La metà scomparsa è quella che i personaggi, fuggendo, si lasciano indietro. Alla luce di questo, forse la domanda non è più se si possa far finta di essere qualcun altro, ma quanto è reale qualcuno che ci si può lasciare indietro con facilità, semplicemente spogliandosi dei panni che si portavano fino ad allora.
Un interrogativo implicitamente esposto tra le righe del romanzo, con una prosa brillante e uno stile “visivo”, quasi cinematografico, che aiuta i personaggi a prendere vita nella mente del lettore.
La metà che scompare non si può ritrovare – e il finale è dolceamaro. Ci sono cose che non saranno mai dette, per amore, per paura, per vergogna. Forse, soprattutto, per comodità. Forse anche perché in fondo l’identità è qualcosa che si costruisce e, una volta che si sceglie quale direzione prendere, è difficile tornare indietro.
La fuga da Mallard rivela e rafforza le indoli delle gemelle, da sempre così diverse. Stella è la metà che scompare per diventare bianca. Sposare un uomo bianco, fingersi bianca, avere una figlia bianca. Desiree è la metà che resta. Sposa un uomo nero, ha una figlia molto più scura di lei.
Stella, la sorella che ha preso le distanze da Mallard, è in realtà quella su cui il paese ha esercitato la maggiore influenza, quella che è rimasta con la mente all’ambiente d’origine. È Stella infatti – non Desiree – ad avere la stessa mentalità dei concittadini, a condividerne l’ossessione per la pelle bianca.
Alla luce di questo mi chiedo: quanto è difficile lasciare indietro la metà che si vuole far scomparire?
Giulia R.